La terza edizione di Working Title Film Festival si celebra nel 2018, anno di importanti anniversari. Ma ce n’è uno che ci tocca particolarmente da vicino: il decennale dell’inizio della crisi. Un decennio che ha portato cambiamenti economici e sociali, ma anche tecnologici e di linguaggio.
È questo il fulcro attorno al quale ruota la conferenza “2008-2018. Rappresentazioni del lavoro nell’audiovisivo in un decennio di crisi” che vedrà confrontarsi studiosi e professionisti come Enrico Terrone, Paolo Chirumbolo, Chiara Checcaglini, Elena Testa, Tiziano Toracca e Angela Condello.
L’obiettivo è quello di mettere a fuoco le forme con cui il cinema di finzione, il cinema documentario, la serialità televisiva e web si sono contaminati con una realtà sociale sempre più difficile e complessa, che non poteva (e non può) più essere ignorata, nemmeno nei formati audiovisivi più di intrattenimento. Da questo contesto e da un avanzamento tecnologico sono scaturiti nuovi linguaggi e forme audiovisive sempre più ibride e nuove forme di utilizzo dei materiali d’archivio.
Il festival si è sempre posto come obiettivo quello di raccontare il lavoro in tutte le sue sfumature semantiche, in un contesto contemporaneo che si caratterizza per complessità e frammentarietà, in costante dialettica tra locale e globale. I film selezionati contribuiscono a tracciare una sorta di mappa del mondo del lavoro e dunque del mondo contemporaneo, attraverso linguaggi, stili e punti di vista differenti.
La novità di quest’anno è l’introduzione di un’ulteriore sezione di concorso dedicata ai formati brevi sperimentali e alla video arte, Extraworks, che si affianca al concorso per lungometraggi/mediometraggi e quella per i cortometraggi.
Nella selezione emergono alcuni temi di grande attualità come le emigrazioni/immigrazioni, i cui racconti sono caratterizzati dallo sfruttamento, dalla xenofobia, ma anche dalla speranza in una vita migliore.
Per i protagonisti di Non ho l’età, italiani emigrati in Svizzera negli anni ‘60, le canzoni della giovane cantante Gigliola Cinquetti avevano rappresentato un modo di sognare una vita migliore e in lei avevano trovato una confidente, pur scontrandosi con un contesto sociale ostile. L’elemento musicale, che assume una valenza catartica, caratterizza anche The Harvest, che ibrida linguaggio documentario e musical, mettendo in scena delle coreografie, in cui i braccianti sikh sfruttati nell’Agro Pontino si trasfigurano in danzatori punjabi.
I protagonisti di Taste of Cement sono operai edili siriani che lavorano a Beirut, in Libano, ma sono esclusi dalla vita sociale della stessa città che stanno (ri)costruendo: di giorno “abitano” lo spazio in alto, sulle gru, di notte sono relegati sottoterra. Il sapore del cemento è il sapore delle case in costruzione, ma anche di quelle distrutte e trasformate in macerie dai bombardamenti, il sapore del cemento è il rumore continuo del cantiere che richiama la memoria del rumore della guerra, talmente assordante da diventare un silenzio ovattato.
Massimino è il nome di un bambino che negli anni ‘70 è stato il protagonista di un film di Ettore Scola, che lo aveva eletto a simbolo dell’emancipazione possibile dei lavoratori meridionali emigrati a Torino. Ma tra le immagini d’archivio e quelle girate oggi dal regista Di Donni c’è uno scarto enorme, come fra le aspettative di quel bambino e la vita dell’uomo che è diventato.
Talien è invece una storia di emigrazione costellata di successi in ambito lavorativo. Era la fine degli anni ‘70, quando Abdelouahab (Aldo) si era trasferito in Italia e aveva cominciato a fare il venditore ambulante. Oggi, dopo più di metà della sua vita in Italia dove vive la sua famiglia, ha deciso di tornare in Marocco. Il film racconta questo viaggio a ritroso attraverso l’Europa e lo scambio/scontro con il figlio Elia, italiano di seconda generazione, che si trova davanti uno scenario lavorativo ben diverso da quello incontrato dal padre quarant’anni prima.
Un futuro radioso in Germania è ciò che vorrebbe costruirsi l’aspirante attrice teatrale bosniaca Ljilja, che da tutta la vita sogna di sottrarsi a un destino già scritto da operaia in patria (Kineski Zid / Great Wall of China). In Stakleni Horizont / The Glass Horizon il sogno si trasforma in un incubo a occhi aperti per un operaio di un macello, un Gastarbeiter dell’Est Europa, costretto dal suo caporale a dormire in un bosco.
Molti film dipingono un affresco dei cambiamenti tecnologici e sociali incorsi negli ultimi anni e dell’incertezza che ne deriva. In Made in Roubaix il proprietario di un’azienda tessile si aggira tra la macchine in funzione, ma ormai senza scopo, come un fantasma. In Manifesto, che cita quello celebre di Marx di cui ricorre il 170esimo anniversario, gli spettri che si aggirano per la capitale europea Berlino non sono quelli del comunismo ma di turisti persi in un vortice di immagini digitali.
Lo stesso protagonista di 8:30, venditore porta a porta, si ritrova a vivere in un loop, in un mondo distopico sempre più simile a Google Maps. Il cortometraggio di animazione Sand è ambientato in universo diegetico iconograficamente anni ‘60, ma nella cui sana e ordinata routine subentra un elemento che ne sconvolge la linearità.
La ripetitività è il fulcro di Mitarbeiter des Monats / Employee of the Month, in cui una giovane donna e un giovane uomo svolgono mansioni meccaniche alquanto inutili in una fabbrica di gomme da masticare, scambiandosi di volta in volta i ruoli di potere. Il lavoro coatto e privo di scopo è al centro anche di Stakhanov. La speranza è nella fuga dal lavoro in Out of the box, in cui una giovane operatrice di call center si ritrova a (ri)vivere una vita monotona punteggiata dal sadismo sessista del capo, dalle nevrosi dei clienti e dall’invasività dei rumorosi vicini. Mentre la scommessa di inventarsi un mestiere che si coniughi con le proprie passioni è il filo conduttore dei quattro protagonisti di Y, lettera che indica la generazione dei nati nell’ultimo scorcio di Novecento. Persa ogni velleità di posto fisso, sono appassionati costruttori di mondi e si raccontano in soggettiva attraverso il mezzo di elezione dei loro anni: lo smartphone.
Come cambiano i rapporti umani dietro le vetrine del commercio globale? Il protagonista di Fifo, un giovane al suo primo impiego in un supermercato, lo scopre a sue spese quando le leggi del mercato entrano in collisione con quelle della dignità umana. Perfettamente a suo agio nel mondo delle merci sembra invece l’umanità che abita Commodity City, sorta di metropoli-alveare dove ogni cosa è in vendita. Mentre nella video performance Curtain Calling i lavoratori culturali cercano di dare un nuovo senso a una città che viveva in simbiosi con una fabbrica ora in dismissione.
Gli effetti di una gentrificazione sempre più diffusa si riflettono sulle vite dei protagonisti di Koffie plagiato / Coffee plagiato e Oosteroever / East Shore. L’anziano antiquario protagonista del primo ha dovuto affiancare, all’attività tramandata nella sua famiglia per generazioni, un nuovo business: la vendita di caffè e cappuccino, per cercare di contrastare la concorrenza dei locali alla moda, che hanno soppiantato i vecchi negozietti. Oosteroever è il quartiere di Ostenda dove abitano i pescatori, minacciato da una speculazione edilizia che porterà profondi cambiamenti urbanistici e sociali. Un destino già vissuto dai protagonisti di Latent, una comunità di pescatori Innu abitanti delle fredde coste del Quebec, raccontati con liriche suggestioni visive e sonore.
Saule Marceau e Il monte delle formiche sono accomunati da una narrazione che coniuga materiali d’archivio e found footage, testi poetici e una profonda riflessione sul mondo animale e sul rapporto che con esso intrattiene l’uomo: nel primo caso attraverso il lavoro di allevatore scelto (controcorrente) dal giovane protagonista, nel secondo con la contemplazione religiosa di un animale emblema del lavoro, la formica. I pipistrelli, animali avvolti da un’aura misteriosa, svelano la loro vulnerabilità quando sono curati dai veterinari (co-)protagonisti di Esseri.
Carne e polvere è una sinfonia di una relazione ancestrale e intima, quella fra un contadino e la terra aspra ma fertile.
Un film di finzione, Unterdruck / Under Pressure, e un documentario, Dr. Fatma, in due Paesi culturalmente e socialmente lontani, l’Austria e l’Algeria: due ginecologhe vivono il lavoro come una sfida quotidiana in cui misurare le proprie convinzioni con i condizionamenti sociali, mettendo in gioco la vita privata.
Awasarn Sound Man / Death of the Sound Man (auto)ironizza su uno dei mestieri più importanti e allo stesso tempo meno riconosciuti del cinema, quello di fonico e di rumorista (foley artist), in un contesto come quello tailandese dove i cronici problemi di budget costringono a inventare originali soluzioni creative con esiti talvolta buffi. Maneggiare con cura / Handle with Care ci fa appassionare del brulicante lavoro delle restauratrici, degli antichi utilizzatori e dei curatori del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia di Milano, che cooperano con filologica precisione per dare una seconda vita a un acceleratore di particelle di settant’anni fa. Anche il processo creativo necessita di una costante cooperazione, e di cambio di sguardo: in una rinomata agenzia pubblicitaria di Barcellona lavorano artisti e grafici down e autistici, protagonisti di Design-ability, che con la loro creatività fuori dagli schemi ne hanno decretato la fortuna.
Infine arriva la pensione, ovvero il lavoro di mantenere il proprio corpo in funzione. Gli anziani protagonisti di Home Exercises lo eseguono come una coreografia. C’è tempo per Un ultimo giro: un video sperimentale che trasforma le immagini dell’archivio di una fabbrica di giostre in un’esperienza sinestetica.
L’eterogeneità di linguaggi, stili e temi che emerge dalla selezione di WTFF3 permette di pensare a un discorso sul lavoro non cristallizzato e non stereotipato e di proporre un’iconografia variegata.
Marina Resta
direttrice artistica Working Title Film Festival