La sesta edizione di Working Title Film Festival è a tutti gli effetti un nuovo inizio, dopo un anno di pausa nel 2021 e un’edizione totalmente online nel 2020, per contingenze a tutti ormai note.
Il 2022 sancisce non solo un ritorno alle proiezioni e agli incontri in presenza, ma anche la possibilità di riallacciare preziose collaborazioni, come quella con il Cinema Odeon, che nella sua Nuova Sala Lampertico, completamente rinnovata, ospita le proiezioni dei lungometraggi e dei cortometraggi in concorso. La sezione ExtraWorks, dedicata a film ibridi, sperimentali, video arte, performance, ha invece una nuova casa: il centro sociale e culturale Caracol Olol Jackson, che ospita anche la masterclass di EneceFilm. Infine, l’incontro di presentazione della rivista “Made in China Journal” si svolge a Porto Burci, un altro importante spazio culturale cittadino.
I 26 film in concorso restituiscono sguardi inediti sul lavoro, creando commistioni e stratificazioni di linguaggi. Emergono alcuni filoni che accomunano opere distanti per origine geografica e stile. Uno è sicuramente la rielaborazione del Novecento, del fordismo e delle sue memorie – collettive e familiari – attraverso il sempre più diffuso riuso creativo di materiali provenienti da archivi pubblici e privati. Un altro è la compresenza conflittuale tra la modernità iper-capitalistica e le sovrastrutture culturali arcaiche, spesso sulla pelle delle donne, in particolare in alcune opere ambientate in Asia. E ancora, la condizione giovanile tra la ricerca di un lavoro in grado di dare senso e identità e la prosaica realtà fatta di prospettive precarie. Se l’emergenza climatica rende sempre più drammaticamente attuale la necessità di una transizione (o conversione) ecologica dell’economia, sono diversi i film che scelgono di posare lo sguardo sulle leggi misteriose e ambigue che regolano la relazione tra uomo e mondo animale. Una visione altrettanto laterale e rivelatrice è quella del lavoro artistico, con la compenetrazione inestricabile tra afflato creatore ed esercizio quotidiano, a cui ogni anno il festival torna a dedicare spazio.
In Le magnétophone di Noémi Aubry e Les filles de chez Moreau di Pauline Pastry, le registe cercano di riconnettere il passato lavorativo delle loro nonne con il presente, attraverso un peculiare uso di archivi familiari.
Anche Daniele Atzeni in Inferru fa ricorso a materiali found footage, ma in questo caso i frammenti provengono da diversi archivi audiovisivi pubblici e concorrono a (ri)creare la figura archetipica di un minatore e i suoi tristi presagi.
Se il film del regista sardo rappresenta un mondo tramontato, Acquasanta di Gianfranco Piazza e Tito Puglielli è una storia di rinascita, quella che stanno vivendo gli storici cantieri navali di Palermo, mentre Combat Trauma Bag di Lorenzo Picarazzi è una “sinfonia della fabbrica”, che porta Vertov ai tempi della musica elettronica.
Boramey di Tommaso Facchin e Ivan Franceschini ci conduce in Cambogia dove molte giovani operaie soffrono di misteriosi svenimenti. Lemongrass Girl di Pom Bunsermvicha ha per protagonista una producer a cui viene assegnato un compito molto particolare. Il titolo Lili Alone del film di Zou Jing allude alla solitudine del personaggio principale che si trova a dover fare una scelta estremamente difficile per la sopravvivenza della propria famiglia. Tre film che ci mostrano un’Asia in bilico tra modernità e tradizione attraverso il punto di vista delle donne.
Sia i protagonisti di Rue Garibaldi di Federico Francioni che quello di Portugal Pequeno di Victor Quintanilha sono ventenni alla ricerca della propria identità, anche attraverso il lavoro. Cercano un riscatto tramite il lavoro anche i protagonisti dei film Le buone maniere di Valerio Vestoso, Apache di Octavio Guerra, Caught in the Rain di Elie Maissin e Mieriën Coppens e DentrOrsa di Chiara Rigione, pur nell’ambito di generi e registri diversi, quali la commedia, il documentario d’osservazione o di taglio più sperimentale.
L’ape come animale chiave per leggere la vita e l’economia del pianeta è raccontata da Nina de Vroome in Globes attraverso diverse cifre stilistiche, quali il documentario naturalistico, il video-saggio, il reportage e persino il thriller. I protagonisti di Transumanze di Andrea Mura e La distanza di Enece Film sono dei pastori che attraversano territori fortemente antropizzati e testimoniano la sopravvivenza di pratiche diverse nel rapporto con la natura e il territorio.
Più de la vita di Raffaella Rivi e Ritratto temporale I – Maurizio di Ilaria Pezone mostrano la profonda compenetrazione tra lavoro e vissuto per un artista. Artista è anche Fabrizio Bellomo, autore e protagonista di Film che presenta le sue installazioni spiazzanti con uno stile decostruito e meta-cinematografico. Una riflessione sul senso del fare cinema è quella proposta in Il silenzio del mondo da Riccardo Palladino. Danza e poesia si fondono, all’interno di scenografie di fabbrica, in über sehen|frauen lyrik di Alina Yklymova, una performance che è anche manifesto femminista.
VO di Nicolas Gourault e Cutting Edges di Céline Berger sono acute meta-riflessioni sulle nuove frontiere tecnologiche e ideologiche del capitalismo contemporaneo. AMP. Note per una pratica di autogestione di Chiara Campara e Vittoria Soddu e In Flow of Words di Eliane Esther Bots trasmettono suggestioni di grande attualità: nel primo il tema è quello dell’accesso alla sanità per tutti; nel secondo gli interpreti in servizio al Tribunale Internazionale de L’Aja, nel loro lavoro di traduzione delle dolorose testimonianze della guerra nell’ex Jugoslavia, ci riportano in un conflitto nel cuore dell’Europa che ci ricorda, tragicamente, quanto accade oggi in Ucraina.
Marina Resta
Direttrice artistica di Working Title Film Festival
Marina Resta (Altamura, Bari, 1984). Ha studiato cinema all’Università di Bologna e alla Freie Universität Berlin. Ha frequentato il corso di Documentario alla Scuola Civica “Luchino Visconti” a Milano e un Master in Produzione e Comunicazione all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Come filmmaker ha realizzato Milano fa 90 (2013), L’acqua calda e l’acqua fredda (2015). Nel 2018 Tracce di Rocco è tra i 10 progetti finalisti del Premio Zavattini. Insegna Discipline Audiovisive in un Liceo Artistico di Vicenza. Dal 2016 è direttrice artistica e organizzatrice di Working Title Film Festival.