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Working Title Film Festival inaugura la sua seconda edizione con un programma ancora più ricco di quella d’esordio. Una proiezione speciale, il dramma grottesco Maquinaria Panamericana di Joaquin Del Paso, in seconda visione italiana dopo il Torino Film Festival. L’omaggio ai registi Razi Mohebi e Soheila Javaheri con Cittadini del nulla e Refugee in Italy: un film di finzione e un documentario sulla condizione sociale e interiore del rifugiato, raccontati dallo sguardo consapevole di chi ha vissuto le stesse esperienze sulla propria pelle.
Due dibattiti, uno per ragionare sulle difficoltà incontrate da rifugiati e richiedenti asilo nell’accesso al mondo del lavoro, l’altro per analizzare rischi e opportunità dell’impatto del web e dei robot sul lavoro umano.
Un laboratorio audiovisivo sul linguaggio documentario con gli studenti del Liceo artistico Boscardin di Vicenza, che presenteranno i propri cortometraggi sul tema del lavoro.
Una proiezione in loop di documentari di Netflix su designer internazionali, e un party, ospitati dallo spazio creativo Exworks.
Ma la novità più importante è il concorso internazionale che privilegia le opere di giovani registi under 35 (con alcune eccezioni). Diciassette film da Europa, Canada e Giappone che raccontano con linguaggi diversi il mondo del lavoro contemporaneo. Un mondo in cui la fabbrica, emblema del lavoro novecentesco, è sempre meno presente, in cui la crisi economica, sociale e identitaria è il tratto predominante, in cui le persone non smettono di cercare creativamente nuove prospettive.
Lo fanno ad esempio i giovani cinesi che abbandonano il villaggio rurale di Diman, dove è ambientato Mingong di Davide Crudetti, per “far fortuna”, facendo i muratori, nella megalopoli Guangzhou. Un viaggio in senso inverso è quello affrontato da Eriko, la protagonista di Miewoharu / Eriko, pretended di Akiyo Fujimura. La distanza tra Tokyo e il suo paese natale è grande come quella tra le velleità di una carriera da attrice e la faticosa presa di coscienza della propria identità e dei propri limiti.
Forse non a caso ben due film in concorso sono ambientati in Grecia, il piccolo Paese dove si incrociano le due grandi crisi che segnano la nostra epoca, quella economica e quella dei migranti. Bag Mohajer / Refugee Bag di Adrian Oeser è un documentario di grande potenza visiva e politica: “la borsa del rifugiato” è il progetto, basato ad Atene, di una fashion designer tedesca che con alcuni rifugiati realizza borse ricavate dai giubbotti di salvataggio recuperati sulle spiagge di Lesbo, unica traccia lasciata dai migranti sbarcati (o naufragati). Nel cortometraggio Kalanta / Carols di Thanos Psichogios il dodicenne Andreas bussa alle porte delle case di Atene, proponendo canti natalizi in cambio di qualche euro, mentre il padre disoccupato si ingegna come può.
Per pochi euro lavora anche il protagonista di Per chi vuole sparare di Pierluca Ditano. La videocamera segue Peppino fra i banchi di Porta Palazzo a Torino, il più grande mercato all’aperto d’Europa. Um uns die Welt / The world we live in di Hanna Fischer, Sofiia Melnyk e Nina Prange ibrida documentario e animazione per delineare i ritratti di tre lavoratori dell’Europa dell’Est colpiti dalla crisi nel cuore produttivo dell’Europa, la Germania. Il regista Bruno Chouinard in Pouding Chôumer / Requiem for Unemployment raccoglie le testimonianze di precari e precarie che, in seguito ad alcune riforme neoliberiste, si sono ritrovati a vivere situazioni kafkiane alla I, Daniel Blake di Ken Loach.
Anche in Olanda è in corso un processo di “ammodernamento” del welfare in senso aziendalista. Ma Nico van Hasselt, il novantaduenne protagonista di De Hoeder / The Shepherd, di Joost van der Wiel, continua a fare il medico “come una volta”, mettendo al primo posto l’umanità. Attorno a un medico, in questo caso un chirurgo, ruota anche Mechanick, cortometraggio di animazione di Margherita Clemente, Lorenzo Cogno, Maria Garzo, Tudor A. Moldovan. Anch’egli è posto dal suo lavoro di fronte a scelte difficili che attengono al sempre più labile confine fra uomo e macchina. Due elementi che ritroviamo, ma con tutt’altro segno, in Radio Popolare di Giacomo Coerezza, dove i microfoni della redazione della storica radio milanese veicolano da quarant’anni passioni sociali e politiche e senso comunitario.
In The potato eaters il documentarista Ben De Raes interpreta in modo visionario l’economia contemporanea, mettendo poeticamente in relazione il microcosmo iper-automatizzato del porto di Anversa e le riflessioni sul lavoro dei contadini che Vincent van Gogh affidava ad alcune lettere al fratello. Un altro porto, quello di Molfetta e i suoi pescatori sono i protagonisti di Mare Nostro di Andrea Gadaleta Caldarola, che raccoglie memorie, gesti e riti di un lavoro che sta scomparendo. Dalla costa ci spostiamo nell’entroterra barese con il documentario di Michele Vicenti Storie di pietra. L’arte di ritrovare il tempo nella Murgia, l’altopiano carsico di peculiare bellezza che custodisce tesori naturali, archeologici e culturali, all’origine di mestieri che sono anche riscoperta di un rapporto poetico con l’ecosistema. Anche il lavoro (o meglio i lavori) di Cece Rasoja, protagonista di E torra s’istadi di Alice Murgia è strettamente legato alla natura e ai suoi ritmi, dall’estrazione del sughero in estate fino alla bottega artigiana in inverno. Il ritorno alla terra, ma senza finti idilli, è il tema sviluppato da I giganti della montagna di Silvia Berretta. Per i due giovani intervistati, la fatica di allevare mucche in una valle spopolata del bergamasco non è solo fisica, ma è anche culturale.
Come una diversa cultura del lavoro è quella di cui sono portatrici le due generazioni di falegnami che si confrontano/scontrano in Legnamè di Elisa Casadei, Nicola Lioia, Mauro Pibiri e Alice Ronchi. Dai falegnami agli elettricisti: quest’ultimo è il mestiere che stanno imparando Mohamud, Ahmadou, Mamadou e Achmed, che frequentano una scuola professionale a Bruxelles. Nel documentario d’osservazione Grands Travaux, le cui riprese hanno seguito l’intero anno scolastico, i registi Olivia Rochette e Gerard-Jan Claes colgono i quattro fra la spensieratezza e le insicurezze tipiche dell’adolescenza, e la complessa costruzione di una propria identità nel melting pot della società belga.
Un caleidoscopio di sguardi in cui ogni film, a suo modo, concorre a fotografare un cambio di paradigma rispetto all’idea di lavoro consolidata nel Novecento. Quelle certezze non ci sono più e ciascun protagonista di queste opere, in fondo, ne cerca di nuove.
Marina Resta direttrice artistica Working Title Film Festival
Marina Resta (1984) ha studiato Dams Cinema e Cinema, Televisione e Produzione multimediale all’Università di Bologna e Filmwissenschaft alla Freie Universität Berlin. Ha frequentato il corso di Documentario alla Civica Scuola di Cinema di Milano e il Master in Produzione e comunicazione per il cinema, l’audiovisivo e i digital media a Ca’ Foscari a Venezia. Ha prodotto, scritto, diretto, montato i film documentari Milano fa 90 (2013) e L’acqua calda e l’acqua fredda (2015).